sabato 9 agosto 2008

Comunicazione interculturale


Corso modulare sulla comunicazione interculturale nel "Percorso Nascita"

La maternità è un’esperienza che apporta grandi cambiamenti nella vita in tutte le culture e gruppi etnici.
E’ un diritto di ogni donna l’essere accompagnata in modo ottimale in questo momento così speciale della sua vita e di poter fruire di tutti i servizi disponibili.
L’assistenza sanitaria ostetrica ed infermieristica alle donne immigrate nel “percorso nascita” e la protezione della loro salute sessuale viene, invece, spesso trascurata e/o sottovalutata da molti operatori sanitari. Questi professionisti della salute, adducendo pretesti inverosimili, quali l’impossibilità di comunicazione e la differenza culturale troppo grande, mettono in atto comportamenti discriminatori e xenofobi e agiscono in modo tale da violare la Dichiarazione universale dei Diritti Umani la Costituzione Italiana ed i loro rispettivi Codici Deontologici.
Vengono ignorate le leggi vigenti sulla protezione e tutela della maternità, sia per scarsa conoscenza delle stesse, che per precisa volontà di rendere difficile l’accesso alle immigrate che, secondo la maggioranza degli operatori sanitari, sfruttano i servizi gratuitamente e non pagano le tasse, che invece “tutti gli italiani pagano.” Spesso gli operatori sanitari sono anche testimoni indifferenti o protagonisti di episodi conclamati di discriminazione a causa di pregiudizi e stereotipi degli operatori stessi, che non accettano l’irreversibilità del processo di formazione di una società multiculturale, alla mancanza di conoscenza delle culture diverse (incompetenza transculturale) dovuta al fatto di aver sempre vissuto in una realtà eurocentrica e androcentrica.
Alla mancanza di strumenti per affrontare questa nuova realtà, per incapacità comunicativa o per standardizzazione delle procedure secondo una logica universalistica ed alla paura di mostrarsi ”amici dello straniero” ed essere oggetto di dileggio da parte dei colleghi di lavoro.
Il mondo della sanità, in cui la devozione al prossimo e la ricerca dell’eccellenza medica, dovrebbero essere la regola, non è immune da comportamenti stigmatizzanti spinti da considerazioni di tipo religioso, etnico o basati sul colore della pelle.
Di fronte ad eventi carichi di significato come la nascita, affermazioni o atti sprezzanti apparentemente insignificanti possono ferire profondamente la dignità delle persone colpite.
La discriminazione non tocca solo le persone immigrate ma anche persone di nazionalità italiana come i Rom, i Sinti, le persone di origine africana, asiatica o semplicemente provenienti da un’altra regione dell’Italia.
Il comportamento stigmatizzante comporta una gerarchizzazione di caratteristiche intime dell’individuo o di un gruppo preso di mira sulla base di generalizzazioni e stereotipi collettivi. Secondo una ricerca condotta in Italia dall’associazione ALISEI[1], nell’ambito del progetto europeo “Partners for Health”, la discriminazione porta ad un minor accesso ai servizi sanitari e ad un peggiore esito delle cure tra la popolazione straniera; in particolare le donne straniere intervistate non hanno esitato ad affermare di essere maltrattate perché straniere e donne e hanno lamentato il fatto che le cure sono state inefficaci o inadeguate e che la loro sofferenza è stata sottovalutata.
Una persona che si ammala a seguito di atti di razzismo o discriminazione può essere considerata lesa nei suoi diritti umani e diritti primari dell’essere umano ( in primo luogo il diritto alla salute ed il diritto ad una procreazione libera e responsabile), non solo per l’atto in sé, ma anche per la malattia contratta. Se poi le viene negato l’accesso alle cure, le vengono negati i suoi diritti di paziente.[2]
Ciò viene confermato dal rapporto ”Servizi Sanitari e discriminazioni razziali”, presentato dall’Iismas e dall’Unar[3], in cui emerge il fatto che le donne immigrate effettuano pochissimi esami durante la gravidanza e spesso partoriscono con tagli cesarei d’urgenza.
Anche dalle ricerche effettuate dall’Istituto Italiano di Medicina Sociale[4] viene evidenziato che, tra gli immigrati, le donne in particolare lamentano il fatto che hanno difficoltà a fruire dei servizi di base e in generale dichiarano la mancanza di accoglienza accusando frequentemente i medici di discriminazione e razzismo.
Per prevenire questo rischio occorre da una parte sensibilizzare gli operatori sanitari e dall’altra informare gli utenti dei servizi dei propri diritti facendo loro un’offerta attiva dei servizi disponibili.
I corsi attualmente attivati, per operatori sanitari, tendono ad eludere o sottovalutare il razzismo esistente negli operatori stessi. Viene fornita solitamente un’informazione più o meno approfondita sulle caratteristiche degli immigrati, sulle leggi e sulle tecniche di comunicazione, Queste informazioni non devono certo essere trascurate, ma sono sicuramente secondarie rispetto all’atteggiamento degli operatori stessi.
Infatti, un operatore, che pur ha partecipato ad un corso sull’immigrazione obbligatorio fornito dalla propria Azienda, che continua a considerare lo straniero come una minaccia, tenderà sempre a sabotarne l’accesso ai servizi ed a trattarlo in modo discriminatorio.
E’ risaputo che ai corsi aziendali, non obbligatori, partecipano sempre le stesse persone sensibili all’argomento, che già sanno e che non necessitano di modificare di molto i propri comportamenti.
Chi volesse invece informarsi autonomamente sulle caratteristiche della popolazione immigrata e volesse imparare delle tecniche di comunicazione interculturale, può attingere oggi a diversi testi, che vanno però letti con un occhio critico.
C’è la tendenza, infatti, in molti testi da me esaminati, a cristallizzare ed a “stereotipizzare” le caratteristiche ed i comportamenti degli immigrati come se l’impatto, più o meno duraturo nel tempo, con la nostra società non incida in alcun modo.
In questo corso, invece, si è voluto puntare l’attenzione proprio sulle attitudini negative degli operatori sanitari, allestendo, nel suo contesto, un percorso di autoanalisi e di crescita che dia la possibilità di riconoscere i propri pregiudizi e stereotipi, di lavorare su di essi per superarli, di incamminarsi nel lungo percorso che porta alla competenza culturale, di facilitare il lavoro sul campo, di facilitare anche il lavoro di équipe con altri operatori sanitari provenienti da altre culture che li affiancano sempre più spesso grazie all’utilizzo di appropriate tecniche di comunicazione volte al superamento dei conflitti.
Il progetto è ambizioso ed ha come obiettivo una profonda modifica dei comportamenti. Perché esso si realizzi, è auspicabile che venga inserito in tutti i corsi di laurea delle professioni sanitarie e che venga reiterato nel tempo.
[1] AAVV,Gli stranieri e l’accesso ai servizi sanitari: tra discriminazione sistemica ed incomunicabilità, ONG ALISEI,2001.
[2] “Carta europea dei diritti del malato” presentata a Bruxelles il 15 Nov 2002.
[3] Istituto di Scienze antropologiche sociali e Ufficio nazionale anti discriminazioni.
[4]M. A. Bernardotti, La popolazione straniera a Roma attraverso gli indicatori demografici e sanitari e L’utilizzo dei servizi sanitari: le esperienze degli immigrati, Istituto di Medicina Sociale, Laboratorio di Scienze Sociali, Roma, 2002.

Chi è interessato a partecipare è pregato di inviare un commento a questo Post e riceverà i dettagli del corso.

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